18/01/24

CARLETTA E ALESSANDRO

“Alessandro figlio mio adorato, scendi ti devo parlare”, Carletta convocò il figlio in cucina con tono un po’ serio e un po’ burlesco.

La cucina era per Carletta una specie di casamatta, un rifugio, il posto dove poter esprimere o immaginare se stessa e non solo ai fornelli da brava casalinga anni cinquanta. Ora, ad esempio, tra una stoviglia ed un pacco di biscotti, stava ripensando al Tennis Camp,

la festa finale alla scuola tennis del figlio, la scorsa primavera. In particolare a quei trenta secondi nei quali Egidio, il padre di Matteo, un compagno di squadra di Alessandro, aveva posata la sua mano sull’avambraccio di lei. In quel momento aveva sentito tutto il peso della solitudine alla quale l’aveva costretta il suo ex marito, il papà di Alessandro, quando aveva deciso di andarsene.

La scala di legno che collegava il primo piano al piano terra strideva e scricchiolava ad ogni passo del ragazzo, un robusto ed allenato quindicenne di quasi due metri.

Strano, pensò Carletta, sta scendendo subito, al primo richiamo…

“Dimmi mà, in fretta che vado ad allenarmi fra poco.”

“Hai deciso lo sport che vuoi seguire quest’anno?”

“Te l’ho detto già tre volte, ricomincio daccapo?” rispose a metà tra la sorpresa e la noia.

“Qui vicino abbiamo un’ottima scuola di tennis, tu sei bravo, sei portato. Perché non continuare lì?”

Alessandro, in camera sua, aveva appena perso un campionato elettronico di calcio alla play station. Aveva anche conseguentemente lanciato il joystick contro il muro e temeva di averlo distrutto. I suoi punti in classifica generale erano scesi parecchio. Non solo, c’era di peggio, molto. Da qualche giorno il suo animo vagava in nuvole basse.  Sembrava, almeno così l’aveva raccontata Lauretta, una sua compagna di classe, che da atteggiamenti e sguardi, Annina, la ragazza che gli piaceva dalle scuole medie, fosse interessata a Michele, un tipo di diciassette anni che frequentava la loro stessa scuola.

“Mà, quest’anno faccio basket, l’istruttore a scuola dice che sono forte e devo unirmi alla sua squadra.”

“Però il campo è a mezz’ora da casa, ed è tempo rubato allo studio. Un’ora per andare e tornare. E due ore e mezza per me ad aspettarti.”

“Mi spiace mà, ma quest’anno gioco a basket.”

Carletta aveva un’altra un’idea che la atterriva. Associava il basket alle bande giovanili, alle gang di strada, come aveva visto in American Graffiti e in tanti altri film americani. Spaccio, coltelli, scazzottate e polizia, tanta polizia. I campi di basket avevano, nella sua testa, un contorno di spazzatura e vetri rotti di finestre e case abbandonate. Non solo Alessandro avrebbe rischiato ogni volta un occhio nero ma anche lei sarebbe stata in continuo pericolo, lì in attesa della fine degli allenamenti, tra pusher e rapper con gigantesche catene d’oro al collo. Ma tutto ciò non voleva dirlo al figlio.

Alessandro invece già da due settimane, all’insaputa di Carletta, andava nella nuova palestra tutta luce, legno ed alluminio inaugurata pochi mesi prima. In quella periferia di cui avevano parlato i giornali perché progettata da tre importanti architetti con tutti i crismi della riqualificazione urbana. Materiali ecocompatibili, spazi vivibili e tanto verde. L’associazione sportiva aveva saputo spendere bene fondi europei destinati allo sport. Ed il team di basket era primo nel suo campionato. Un sogno per Alessandro.

“E poi vuoi mettere il tennis – continuava Carletta – uno sport signorile, campi in erba o terra rossa, club esclusivi, tornei in giro per il mondo…”

“In giro per il mondo? Lo scorso anno ho fatto il torneo della scuola e non è andato nemmeno bene.”

“Certo, devi crescere ancora, allenarti.” Gli ripeteva meccanicamente mentre la testa era alla mano di Egidio.

“Il campo da tennis dove mi sono allenato lo scorso anno è in cemento e si sta sbriciolando.”

“Ma non ti ricordi? Abbiamo visto insieme Wimbledon, il Roland Garros…” Si aggrappava disperata ad ogni pensiero sentendosi scivolare lontano quella mano e anche il corpo di Egidio. Come se girasse su pattini al centro di una pista dove il ghiaccio si stava spaccando sollevandosi.

Anche l’attenzione superficiale di Alessandro velocemente volava via verso Annina, a quel giorno in cui col gruppo della Chiesa erano andati a camminare in montagna. Lui era riuscito a sederle accanto per qualche minuto cercando senza sosta di controllare la propria emotività che gli procurava una forma leggera di balbuzie. Era riuscito a farla sorridere, un trionfo. Anzi, lei si era addirittura voltata verso di lui e lo aveva guardato dritto negli occhi. Lì gli aveva sorriso dicendogli che secondo lei doveva giocare a basket, vista l’altezza.

“Mà, io vado!” Alessandro era già sulla porta.

“Secondo me non sei adatto al basket!” Urlò in evidente confusione educativa.

La porta si aprì e si richiuse più silenziosamente del solito.

Alessandro non si aspettava la sfiducia della mamma. Di solito lei lo sosteneva, come lui sosteneva lei dalla partenza del padre. Fino a poco prima era convinto che lei sarebbe stata la prima ad entusiasmarsi per la bellezza del nuovo centro sportivo.

Una lacrima lo accompagnò al campo scendendo lenta giù dalla guancia. Là una palla arancione scuro rotolando veloce verso di lui, gli asciugò veloce ogni pensiero.

Anche in cucina una lacrima stava scendendo rigando il viso ancora giovane di Carletta. Cadde bagnando l’illusorio avambraccio. Ne seguirono altre. Che centrarono la tazza della colazione col viso del figlio stampato sopra. L’idea di averlo ferito ingiustamente, per egoismo, si era aggrappata alla gola. Ci mise un po’ a riprendere fiato e regolarizzare il battito cardiaco. Si aiutò con due tisane rilassanti e con l’impasto della pizza che avrebbe strappato, aiutato da un abbraccio, il sorriso ad Alessandro al suo ritorno.


Scritto da Gianni il 30 Ottobre 2023

Nessun commento:

Posta un commento