Trent’anni prima il grande maniero di campagna gli era sembrato un enorme castello quasi incantato. Oggi aveva perso parecchia altezza e larghezza ma restava una bella proprietà.
Goffredo, l’ultimo
figlio di una facoltosa famiglia sgretolata dai debiti era rimasto solo. Almeno
finché scoprì essere ancora in vita la zia ultraottantenne, sorella del padre.
“Zia Rosa, che bello
incontrarti.”
“Chi sei?” gli rispose inaspettatamente la zia
“Sono il figlio di Luigi,
morto tre anni fa. Ci siamo sentiti ieri per telefono, zia. Sono tornato
apposta per te in Italia. Ricordi? Vivo in Argentina da trent’anni.”
“Lo conoscevo questo
Luigi?”
“Era mio padre, tuo
fratello.”
“Ascolta bel giovane,
mio fratello lo sento tutti i giorni”, asseriva la zia assurdamente alle
orecchie di Goffredo.
“Come ti trovi a
vivere qui con un solo domestico?” tentò di scartare lateralmente Goffredo.
“Anche in questo
sbaglia, signore. Qui viviamo in tanti, non sono mai sola. In più c’è un
magnifico giardino dove camminare quando voglio.”
“Eppure mi hai detto
ieri di sentirti sola e… - non riuscì a terminare la frase che all’improvviso si
sentì colpire sulla spalla protetta dal cappotto. Un bicchiere era appena
volato verso di lui.
“Non ho mai amato
essere contraddetta nemmeno dai familiari, figuriamoci da lei che non ho mai
visto prima.”
Le rughe sul viso di
Goffredo si delineavano insolitamente nette sulla fronte lucida. Gareggiavano
con quelle più marcate e giustificate della zia. La chiacchierata amichevole
del giorno prima aveva lasciato il posto ad un dialogo surreale al quale non si
era affatto preparato. La situazione poteva fatalmente sfuggirgli di mano.
Ebbe una idea.
“Rosa mi porti un
cordiale?” disse abbassando la voce ad imitazione di quella del padre ingobbendosi
leggermente.
“Certo Luigi, ne
prendo uno anche io”, rispose Rosa al presunto fratello.
La zia si alzò
malferma aiutandosi col bastone, lo stesso che Goffredo aveva visto nelle mani
del padre in alcune delle ultime fotografie.
“Pensa Luigi caro che
un giovanotto si è presentato qui dicendosi tuo figlio. Ho avuto una sensazione
di freddo mentre parlava. Lo vedevo volare su di noi, in attesa.”
Goffredo si accigliò pensieroso, lo sguardo
cupo era aiutato dal calare svelto dell’oscurità. Solo un caminetto acceso,
vicino alle due sedie, illuminava a tratti e instabilmente il suo viso così da
rendere le ombre del naso della bocca e degli occhi assai mutevoli.
“Rosa sorellina mia, ne
sono al corrente. Goffredo, mio figlio, mi ha avvisato del suo arrivo e della
visita che voleva farti. Mi ha scritto spesso chiedendo tue notizie. Ti è molto
affezionato”, fingeva Goffredo.
“Mi spiace tanto
allora. Devo avere frainteso le sue intenzioni e probabilmente dopo tanti anni
non l’ho riconosciuto.”
Bevvero insieme il
cordiale.
Voltandosi lentamente Goffredo
si accorse che agli angoli della grande stanza erano accese quattro candele,
una per angolo. La loro luce era nulla se paragonata a quella elettrica ma ora
in quella stanza arrivava a sorpresa a toccare il chiarore tremulo proveniente
dal fuoco del caminetto.
“Zia, se vuoi torno a
trovarti domani”, disse Goffredo azzardando il repentino cambio di personaggio.
Fidava adesso sul viatico paterno.
“Come preferisci
Goffredo.”
A quella risposta,
finalmente sentitosi riconosciuto, una leggera emozione lo colse. Il primo passo
era fatto. Ma non solo. Con l’aiuto pilotato del padre la strada verso il cuore
e la banca dell’anziana e ricca zia sarebbe stata in discesa.
Questa rinnovata
possibilità gli aveva scaldato l’orecchio destro come a volte gli accadeva. Lo sfiorò
un po’, girò il collo verso la sua destra e vide all’altezza della tempia una
mano che teneva una delle quattro candele accese. Fece un istintivo balzo
indietro quasi a cadere dalla sedia stessa.
“Ciao Goffredo”, disse
una voce che ancora non aveva un viso, coperta com’era dalla candela e dalla
sua luce.
“Ti rifai vivo
finalmente!” Sembrava fosse la candela a parlare, sicuro la voce proveniva da
lì dietro.
Gli occhi di Goffredo
cercavano affannosamente quel viso perso nel buio mentre la zia ridacchiava con
dei rantoli catarrosi.
La bocca di Goffredo
si aprì interrogativa lasciando pendere un filetto di saliva. La faccia di
Luigi, il padre, perfettamente attaccata al collo e al suo corpo, in carne e
ossa, era accanto a lui. Goffredo avvitato indietro e aggrappato allo schienale
con le unghie conficcate nella tappezzeria di velluto, sentì vampate di calore
percorrerlo come ondate di tempesta.
Il padre continuò “nemmeno
per il mio finto funerale sei tornato, sapendo che non c’era eredità. Sei qui solo
per la zia anziana e malata, come ti abbiamo fatto credere. A causa di ciò e
con la morte nel cuore io e tua zia abbiamo ceduto tre anni fa tutto in nuda
proprietà.”
Non aggiunsero altro.
Rosa e Luigi si alzarono e fendendo il buio con la sola candela, si
avvicinarono alla porta, la aprirono e la richiusero dietro di loro.
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