Mezzogiorno.
Guardo l’orologio. Quello grande
appeso al muro della sala. Appena sotto si apre la porta finestra sul giardino
nella mezza stagione. Quando l’erba non sa ancora se ricominciare a crescere,
il sole se alzarsi un po’ ed entrare finalmente a illuminare il pavimento rosso
bordeaux colpendo la polvere in aria.
“Non sopporto più mia madre” aveva detto una ragazza alla sua amica in metropolitana, ieri sera.
Tra le tante voci questa era entrata nelle mie orecchie. “E’ una rompipalle galattica, mi tratta come se avessi dieci anni”. Infatti ne dimostrava due, tre in più. Sono errori gravi, da matita rossa, per un genitore. La testa reclinata sulla spalla della vicina, lo sguardo fermo nel vuoto tangente il mio. I capelli accarezzati e il naso rosso.Dalla cucina il soffio sommesso
del frigorifero si sta facendo più insistente. Segno che il compressore sta
funzionando ogni giorno un po’ peggio. Chiamare il tecnico forse non vale la
pena. Il frigo ha la sua età. L’obsolescenza programmata serve da una parte a
far girare l’economia, dall’altra ad avvicinare l’estinzione di massa.
E’ un mese che rimando di mettere
a posto gli attrezzi lasciati sul tavolo della cantina, mentre rimonta il
pensiero dell’orario. A che ora torna oggi il figlio? E’ il caso che inizi a
pensare al pranzo?
Il mio braccio destro scende
verso terra parallelo al corpo, la sua linea di discesa viene completata dalla
gamba. Lei mi àncora giù. E’ il suo compito e, fino a oggi, lo sta svolgendo
bene. L’inattività delle braccia è lampante quando sono fermo. Mi sorprende
sempre parecchio.
L’occhio della ragazza aveva un
lacrimone pronto ma indeciso, al punto che quando tutto sembrava ineluttabile,
si era ritratto, sgonfiandosi. Le due anime avevano raggiunto la stazione di
destinazione lasciando i posti a un uomo anziano col nipote.
Il vetro della finestra mi porta
fuori tra i vasi di piante addormentate o morte. Qualche timido punto di verde
mi fa sperare nella primavera a venire. Sorrido al pensiero di poterne essere
ancora testimone. I miei genitori sono lontani, inarrivabili. Un tempo potammo
insieme la siepe del giardino immersi in risate e stanchezza, ricordo il profumo
di quei momenti. Era cosa lieta. I ricordi dimenticano la fatica, a volte.
Il pensiero è riposo? No, non
credo. Il pensiero è galoppo di un cavallo indomito, che basta a se stesso.
Così pensa, il pensiero. Ma chi o cosa può bastare a se stesso? Non è forse
un’illusione?
Io ad esempio vengo trascinato
dal pensiero appena lo libero o gli do briglia. Una biga sballottata a velocità
eccessiva, a volte sul punto di capottare. Quindi l’auriga, io, sa il fatto
suo. Mi vedo con la veste pesante, adatta alla corsa, stretta in vita e gonfia
di vento correre verso la meta. Già, la meta…
Suona il citofono.
Mezzogiorno e cinque.
Traccia: "Racconta un gesto o un’azione semplice”

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