31/12/24

L'OROLOGIO DA PARETE


Mezzogiorno.

Guardo l’orologio. Quello grande appeso al muro della sala. Appena sotto si apre la porta finestra sul giardino nella mezza stagione. Quando l’erba non sa ancora se ricominciare a crescere, il sole se alzarsi un po’ ed entrare finalmente a illuminare il pavimento rosso bordeaux colpendo la polvere in aria.

“Non sopporto più mia madre” aveva detto una ragazza alla sua amica in metropolitana, ieri sera.

Tra le tante voci questa era entrata nelle mie orecchie. “E’ una rompipalle galattica, mi tratta come se avessi dieci anni”. Infatti ne dimostrava due, tre in più. Sono errori gravi, da matita rossa, per un genitore. La testa reclinata sulla spalla della vicina, lo sguardo fermo nel vuoto tangente il mio. I capelli accarezzati e il naso rosso.

Dalla cucina il soffio sommesso del frigorifero si sta facendo più insistente. Segno che il compressore sta funzionando ogni giorno un po’ peggio. Chiamare il tecnico forse non vale la pena. Il frigo ha la sua età. L’obsolescenza programmata serve da una parte a far girare l’economia, dall’altra ad avvicinare l’estinzione di massa.

E’ un mese che rimando di mettere a posto gli attrezzi lasciati sul tavolo della cantina, mentre rimonta il pensiero dell’orario. A che ora torna oggi il figlio? E’ il caso che inizi a pensare al pranzo?

Il mio braccio destro scende verso terra parallelo al corpo, la sua linea di discesa viene completata dalla gamba. Lei mi àncora giù. E’ il suo compito e, fino a oggi, lo sta svolgendo bene. L’inattività delle braccia è lampante quando sono fermo. Mi sorprende sempre parecchio.

L’occhio della ragazza aveva un lacrimone pronto ma indeciso, al punto che quando tutto sembrava ineluttabile, si era ritratto, sgonfiandosi. Le due anime avevano raggiunto la stazione di destinazione lasciando i posti a un uomo anziano col nipote.

Il vetro della finestra mi porta fuori tra i vasi di piante addormentate o morte. Qualche timido punto di verde mi fa sperare nella primavera a venire. Sorrido al pensiero di poterne essere ancora testimone. I miei genitori sono lontani, inarrivabili. Un tempo potammo insieme la siepe del giardino immersi in risate e stanchezza, ricordo il profumo di quei momenti. Era cosa lieta. I ricordi dimenticano la fatica, a volte.

Il pensiero è riposo? No, non credo. Il pensiero è galoppo di un cavallo indomito, che basta a se stesso. Così pensa, il pensiero. Ma chi o cosa può bastare a se stesso? Non è forse un’illusione?

Io ad esempio vengo trascinato dal pensiero appena lo libero o gli do briglia. Una biga sballottata a velocità eccessiva, a volte sul punto di capottare. Quindi l’auriga, io, sa il fatto suo. Mi vedo con la veste pesante, adatta alla corsa, stretta in vita e gonfia di vento correre verso la meta. Già, la meta…

Suona il citofono.

Mezzogiorno e cinque.


Traccia: "Racconta un gesto o un’azione semplice”

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