17/01/24

METRO PIAZZA DUOMO, MILANO

Milano, Stazione della Metro di Piazza del Duomo, ore 13,20.

Salgo le scale insieme a centinaia di piedi che trotterellano verso il cielo. Lui, fuori, lassù, cade a terra colpito da una mazza da baseball.

Ho scelto la fila dei mediocremente allenati di mezza età, sempre pronto a cambiarla per tirare il fiato. L’assalitore ha vita facile nel confondersi nella folla e scappare.

L’effetto formica, per cui ti sposti i centimetri necessari quando incroci un tuo simile in senso opposto alla tua marcia e lo eviti, è alla massima allerta. Maledico aver cambiata oggi l’abitudine di risalire alla luce solo dopo il branco disordinato e famelico espulso dai vagoni della metropolitana.

A fianco ho un tipo vestito bene che beato lui non sembra infastidito, anzi… ha un’espressione serena e luminosa.

Finalmente fuori.

A pochi metri dalla rampa di uscita si gonfia un capannello di sconosciuti intorno all’uomo con la nuca sfondata, riverso nel suo sangue. Immobile. Il viso rivolto a terra.

Vedo mio padre anche lui in uscita dalla metro e mi avvicino. Qualcuno grida, altri improvvisano una caccia all’uomo subito bloccata dalla polizia. Ci sono postazioni fisse vicino al Duomo.

L’uomo proprio non si muove, un’ambulanza è già vicina, spiegano le sirene. Tutti diamo un’occhiata al dramma, chissà poi perché. Qualcuno racconta dell’uomo con la mazza da baseball. Qualcun’altro conosce la vittima, ci stava parlando. Ne dice il nome: Angelo.

Fino a quel momento ero preso nei miei pensieri: quella giovane donna appena incontrata proveniente dallo Yemen, senza alloggio e con tre figli. E poi il giovane Abdhù, nome certamente storpiato dalla burocrazia, rimasto orfano e troppo giovane per lavorare. Forse il mio amico Mario poteva fare qualcosa per loro… Ma ora la scena da telegiornale mescola ogni priorità.

Scorgo una donna inginocchiata vicino a lui. Piange compostamente accarezzandogli la mano. Mi tengo a distanza per rispetto di quello sconosciuto, della sua storia. I giornali avrebbero scritto ad indagini terminate che quell’uomo, il signor Angelo Arca, stava tornando a casa con la moglie. Mediatore culturale. L’assassino aveva colpito a caso, prima lui e poi altre tre persone in quel giorno. Stessa mazza da baseball, stessa insensatezza, stessi epiloghi.

Intercetto lo sguardo di mio padre, è vicino alla persona elegante e tranquilla che avevo vista prima. Si conoscono, si scambiano sguardi, sorrisi. Mio padre in particolare ha una espressione differentemente nuova: radiosa di una felicità che lì ed ora mi sembrano del tutto fuori luogo. Nel trambusto generale attraggono la mia attenzione. Più mi avvicino a loro e più mi allontano dalla folla. I gesti sanguinosi del mondo che tanto pesano su di me, che hanno dettato tante mie scelte, mi liberano via via dai loro lacci. Assurdo. Di fronte ad un dramma mi sento irresponsabilmente leggero.

 Con mio padre e lo sconosciuto insieme ci allontaniamo. Non c’è un perché. Ma tutto sembra avere un senso leggero. Come da piccolo in braccio a lui.

 Non mi sono ancora presentato. Mi chiamo Angelo. Angelo Arca.


Scritto da Gianni nell'Ottobre 2023

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