22/01/24

UN INCONTRO IMPORTANTE

Filippo si stava per affacciare alla finestra, fuori aspettava la pensione. Si avventurava ignaro in equilibrio sulla sottile riga che segnava il passaggio tra l'essere e l'essere stato. Laddove un uomo poteva pensare di valere meno.

“Dovrei comprare la macchina nuova? Quanti anni potrò ancora guidare prima di non esserne più capace?” Questi pensieri arrivavano non invitati alla mente di Filippo e si mescolavano nel suo cuore, era il suo ultimo anno lavorativo.

Nello stesso periodo, per motivi che partivano da tanto lontano, la sua anzianissima mamma si era trasferita nell'appartamento a pochi metri da lui. Al termine della giornata lavorativa, da cui si sentiva sempre più lontano, Filippo aveva presa l'abitudine di passare almeno trenta minuti con lei. Tempo di allegria e dolore.

“Era un po’ che non ti facevi vedere”, lo salutava la madre

“Da ieri mamma.”

“A me sembra molto di più. Sicuro che ieri ci siamo visti?” continuava lei.

“Si. Vengo tutti i giorni.” Il copione si ripeteva uguale. Potevano cambiare qualche battuta, una pausa, i tempi ma il contenuto no. Il saluto iniziale riguardava la sua presunta assenza mentre gli scambi finali vedevano l’anziana donna impegnata a non far andare via il figlio per presunti pericoli esterni.

Non che questi non vi fossero, per carità. Ne erano entrambi ormai coscienti, insieme contavano un secolo e mezzo di esperienze.

Filippo si trovava a pensare al mondo come un luogo sempre meno ospitale, forse a volte ostile, come quando rientrava col buio ed i suoi passi si facevano incerti nel superare gradini e schivare gli accidenti delle strade dissestate. Anche gli eventuali rari passanti gli alzavano le antenne. Il tipo atletico presente a se stesso di anni prima faceva fatica a riconoscersi in quello più lento e curvo che di sfuggita vedeva allo specchio dell’ingresso. Quello specchio avrebbe pagata cara l’ostinata e sfacciata adesione alla realtà.

“Dai, raccontami la tua giornata”, chiedeva la madre quando lui ritardava l’inizio della storia.

Lui aveva bene impresso nella memoria il tempo dei racconti quando era lei a leggere i libri per farlo addormentare. Dentro quelle pile di fogli macchiati di nero la mamma trovava parole e storie piene di calorose emozioni. E quando arrivava il momento temuto di interromperle, era un conto alla rovescia fino alla sera successiva, dove lei ne riprendeva le fila.

“Ti ho raccontato del mio collega Edoardo?” le chiese Filippo.

No. Dimmi!”

“Stamattina è caduto per le scale e si è rotto una gamba. Quando è tornato a salutarci, gli avevano ingessato il naso.”

“Il naso?” esclamò la mamma con lo stupore stampato sul viso.

“Si! Gli hanno detto che non avevano gesso a sufficienza per una gamba intera. Inoltre c’è una nuova teoria medica secondo la quale ingessando il naso si possono saldare le ossa delle gambe mentre ingessando le orecchie tornano a posto le braccia fratturate.”

“Che bello! Così è molto più comodo, certo!” si esaltò la donna.

Mesi prima Filippo aveva cominciato a inserire elementi bizzarri nei suoi racconti. Un espediente già testato con successo quando a sua volta raccontava fiabe e racconti ai suoi figli. Così poteva capitare di eccedere, ma solo se i fantastici orpelli davano i risultati sperati. Altrimenti era pronto a cambiare personaggi e storie all’istante. D’altronde la routine lavorativa non gli lasciava scelta: o raccontava barbosissime storie vere o regalava un sorriso alla madre.  

“Ma quale buona azione”, diceva ai suoi colleghi. “E’ un mio diritto stare con lei. E una fortuna poterla avere ancora qui”, sosteneva quando lo apostrofavano come mosca bianca.

Filippo e la sua mamma rincorrevano i loro sogni giocando insieme regalandosi nei loro ultimi tempi nuove sorprese. Ogni risata poteva mutarsi in lacrima per un dolore o una nuova incapacità, per un mal di ossa o una dimenticanza, una medicina sbagliata o quella assenza insostituibile. Ma ogni lacrima poteva volgersi al sorriso perché era condivisa e vissuta insieme. Ed ogni storia poteva unirsi ad altre vere o inventate in maniera casuale.

“Ricordi quando ancora non sapevi andare in bicicletta?” riprese la mamma tossendo “quando per l’ennesima volta finisti a terra, il tuo ginocchio sbucciato. Quanto piangevi! Non volevi più salire sul sellino. Per tre giorni hai tenuto il punto, poi al quarto gli altri bambini che correvano sulle loro bici ti hanno convinto a riprovare. E finalmente hai cominciato a pedalare con più forza, hai preso velocità, hai capito il segreto dell’equilibrio.” disse rallentando perché le mancava il fiato.

“Qual è il segreto mamma?”

“Non fermarsi, andare sempre avanti”, disse afferrando forte il suo bastone mentre chiudeva gli occhi.

Filippo le tirò su la coperta, le diede un bacio sulla fronte e si avviò all’uscita accompagnato dall’usuale confuso senso di tristezza gioiosa.

“A domani, mamma.”

Lina aveva calcato le assi dei teatri italiani e ancora oggi ritagliava qualche ruolo. Uscendo dall’appartamento della mamma di Filippo, mentre scendeva le scale, con mosse ripetute più volte si tolse le sopracciglia bianche, la parrucca con pochi capelli radi e incanutiti e la cravatta. Il vestito maschile poteva andare fino alla macchina. La sua interpretazione dell’anziano figlio della signora era ogni giorno più realistica nonostante non avesse avuto tempo per le prove.  Fu chiamata all’improvviso dalla sorella di Filippo, sua amica dai tempi della scuola a seguito dell’inaspettata dipartita dell’uomo.

Lina era stata l’idea della sorella per non dare alla mamma una notizia che non avrebbe potuta sopportare.

Per l’attrice si trattò di una seconda giovinezza. Perfezionava il personaggio di Filippo giorno dopo giorno, al punto che scrisse un testo teatrale chiamato “Il Signor Filippo” che le diede nuova notorietà.

Postuma.



Scritto da Gianni nel Dicembre 2023


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