Filippo si stava per affacciare alla finestra, fuori aspettava la pensione. Si avventurava ignaro in equilibrio sulla sottile riga che segnava il passaggio tra l'essere e l'essere stato. Laddove un uomo poteva pensare di valere meno.
“Dovrei comprare la macchina nuova? Quanti anni potrò ancora guidare prima di non esserne più capace?” Questi pensieri arrivavano non invitati alla mente di Filippo e si mescolavano nel suo cuore, era il suo ultimo anno lavorativo.
Nello stesso periodo, per motivi che
partivano da tanto lontano, la sua anzianissima mamma si era trasferita
nell'appartamento a pochi metri da lui. Al termine della giornata lavorativa,
da cui si sentiva sempre più lontano, Filippo aveva presa l'abitudine di
passare almeno trenta minuti con lei. Tempo di allegria e dolore.
“Era un po’ che non ti
facevi vedere”, lo salutava la madre
“Da ieri mamma.”
“A me sembra molto di
più. Sicuro che ieri ci siamo visti?” continuava lei.
“Si. Vengo tutti i
giorni.” Il copione si ripeteva uguale. Potevano cambiare qualche battuta, una
pausa, i tempi ma il contenuto no. Il saluto iniziale riguardava la sua
presunta assenza mentre gli scambi finali vedevano l’anziana donna impegnata a
non far andare via il figlio per presunti pericoli esterni.
Non che questi non vi
fossero, per carità. Ne erano entrambi ormai coscienti, insieme contavano un
secolo e mezzo di esperienze.
Filippo si trovava a
pensare al mondo come un luogo sempre meno ospitale, forse a volte ostile, come
quando rientrava col buio ed i suoi passi si facevano incerti nel superare
gradini e schivare gli accidenti delle strade dissestate. Anche gli eventuali
rari passanti gli alzavano le antenne. Il tipo atletico presente a se stesso di
anni prima faceva fatica a riconoscersi in quello più lento e curvo che di
sfuggita vedeva allo specchio dell’ingresso. Quello specchio avrebbe pagata
cara l’ostinata e sfacciata adesione alla realtà.
“Dai, raccontami la
tua giornata”, chiedeva la madre quando lui ritardava l’inizio della storia.
Lui aveva bene
impresso nella memoria il tempo dei racconti quando era lei a leggere i libri
per farlo addormentare. Dentro quelle pile di fogli macchiati di nero la mamma
trovava parole e storie piene di calorose emozioni. E quando arrivava il
momento temuto di interromperle, era un conto alla rovescia fino alla sera
successiva, dove lei ne riprendeva le fila.
“Ti ho raccontato del
mio collega Edoardo?” le chiese Filippo.
No. Dimmi!”
“Stamattina è caduto
per le scale e si è rotto una gamba. Quando è tornato a salutarci, gli avevano
ingessato il naso.”
“Il naso?” esclamò la
mamma con lo stupore stampato sul viso.
“Si! Gli hanno detto
che non avevano gesso a sufficienza per una gamba intera. Inoltre c’è una nuova
teoria medica secondo la quale ingessando il naso si possono saldare le ossa
delle gambe mentre ingessando le orecchie tornano a posto le braccia
fratturate.”
“Che bello! Così è
molto più comodo, certo!” si esaltò la donna.
Mesi prima Filippo
aveva cominciato a inserire elementi bizzarri nei suoi racconti. Un espediente
già testato con successo quando a sua volta raccontava fiabe e racconti ai suoi
figli. Così poteva capitare di eccedere, ma solo se i fantastici orpelli davano
i risultati sperati. Altrimenti era pronto a cambiare personaggi e storie
all’istante. D’altronde la routine lavorativa non gli lasciava scelta: o
raccontava barbosissime storie vere o regalava un sorriso alla madre.
“Ma quale buona azione”,
diceva ai suoi colleghi. “E’ un mio diritto stare con lei. E una fortuna
poterla avere ancora qui”, sosteneva quando lo apostrofavano come mosca bianca.
Filippo e la sua mamma
rincorrevano i loro sogni giocando insieme regalandosi nei loro ultimi tempi
nuove sorprese. Ogni risata poteva mutarsi in lacrima per un dolore o una nuova
incapacità, per un mal di ossa o una dimenticanza, una medicina sbagliata o quella
assenza insostituibile. Ma ogni lacrima poteva volgersi al sorriso perché era
condivisa e vissuta insieme. Ed ogni storia poteva unirsi ad altre vere o
inventate in maniera casuale.
“Ricordi quando ancora
non sapevi andare in bicicletta?” riprese la mamma tossendo “quando per
l’ennesima volta finisti a terra, il tuo ginocchio sbucciato. Quanto piangevi!
Non volevi più salire sul sellino. Per tre giorni hai tenuto il punto, poi al
quarto gli altri bambini che correvano sulle loro bici ti hanno convinto a
riprovare. E finalmente hai cominciato a pedalare con più forza, hai preso
velocità, hai capito il segreto dell’equilibrio.” disse rallentando perché le
mancava il fiato.
“Qual è il segreto
mamma?”
“Non fermarsi, andare
sempre avanti”, disse afferrando forte il suo bastone mentre chiudeva gli
occhi.
Filippo le tirò su la
coperta, le diede un bacio sulla fronte e si avviò all’uscita accompagnato dall’usuale
confuso senso di tristezza gioiosa.
“A domani, mamma.”
Lina aveva calcato le
assi dei teatri italiani e ancora oggi ritagliava qualche ruolo. Uscendo
dall’appartamento della mamma di Filippo, mentre scendeva le scale, con mosse
ripetute più volte si tolse le sopracciglia bianche, la parrucca con pochi
capelli radi e incanutiti e la cravatta. Il vestito maschile poteva andare fino
alla macchina. La sua interpretazione dell’anziano figlio della signora era
ogni giorno più realistica nonostante non avesse avuto tempo per le prove. Fu chiamata all’improvviso dalla sorella di
Filippo, sua amica dai tempi della scuola a seguito dell’inaspettata dipartita
dell’uomo.
Lina era stata l’idea
della sorella per non dare alla mamma una notizia che non avrebbe potuta sopportare.
Per l’attrice si
trattò di una seconda giovinezza. Perfezionava il personaggio di Filippo giorno
dopo giorno, al punto che scrisse un testo teatrale chiamato “Il Signor Filippo”
che le diede nuova notorietà.
Postuma.
Scritto da Gianni nel Dicembre 2023
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