Giorgio era quel tipo
che dovunque stava, era in bilico tra il suo nascondiglio e le stelle.
Da bambino a scuola
capiva velocemente le spiegazioni dei maestri e per questo non studiava a casa,
così via via perdeva il filo. E soprattutto in matematica passava da bei voti a
una anonima scarsezza. Era il mio compagno di banco.
Aveva maturato negli
anni l’idea di trovarsi nel posto o nel tempo sbagliato o entrambi. Per me
invece erano il luogo o il tempo a non essere a volte adeguati a lui.
Ci siamo sentiti al telefono pochi giorni fa.
“Giorgio, una vita che
non ci sentiamo!” gli ho detto appena la sua voce si è incanalata nel mio
condotto uditivo.
“Gianni! Piacere mio
sentirti”, mi ha risposto con voce sorridente.
Con lui il tempo non
esisteva. Potevano passare anni senza sentirci o vederci, eppure appena si
ristabiliva un contatto qualunque era come ai tempi della scuola. Come se ci
fossimo salutati il giorno prima.
“Io e Laura aspettiamo
un bambino” mi ha detto subito “l’ho saputo ieri. E’ una notizia che alla
nostra età non mi aspettavo più.”
“A quarant’anni oggi
si è ancora giovani.” provai a dire fingendo un po’.
“Lo dice anche Laura.
Io però stanotte non ho dormito.” continuò “Ti ricordi quella volta al campo di
calcio dell’oratorio a giocare una partita con gli amici di Enzo e Luca?”
“Non proprio.”
risposi.
“Entrammo in una
squadra. Tu sapevi giocare. Io no. Dopo i primi errori nessuno mi passava più
la palla.” Io mi sentivo in colpa: non ricordavo nulla di quei fatti. “Dopo un
po’ decisi di spostarmi fino ad uscire dal campo e rimanere a guardare da
dietro un albero. Nessuno se ne accorse.”
“No. Mi spiace. Quella
partita non ha lasciato nessuna traccia”, gli dissi.
Ma lui continuò “Stanotte
mi sono visto padre. Come allora sbagliavo i passaggi più semplici, io ora
sbagliavo con mio figlio. Mi assillavano mille pensieri e domande. Come lo
prendo in braccio per lavarlo? Come gli devo parlare? Dovrò educarlo? Se sbaglio
tono? Se non sarò capace di rispondere alle sue domande? Non sono all’altezza,
Gianni, non ce la farò mai.”
Non era il primo
attacco che Giorgio sferrava alla propria autostima. Si sentiva ciclicamente
sotto osservazione di se stesso con una lente che più che ingrandire,
deformava. Quella era l’ultima di una infinita serie di previsti fallimenti che
qualche forza malvagia gli iniettava.
Ma stavolta era
peggio. Se si fosse avvitato in quei pensieri per gli otto mesi prima della
nascita, come avrebbe affrontato la pratica routine neo genitoriale di tutti i
giorni? Decisi di chiamarlo almeno una volta a settimana, di non lasciarlo
solo. Ero un suo amico, no?
Il giorno del
Battesimo di Michele scoprii che anche uno come me poco avvezzo alle cose di Chiesa
poteva fare il padrino di Battesimo. La richiesta di Giorgio mi aveva sorpreso
e commosso. Voleva inserirmi nella costruzione del figlio. Era lui, il figlio,
ad averci riuniti come un tempo. Ci stavamo sentendo ogni settimana, forse anche
di più. Come accompagnatore avevo fatto con lui il corso preparto per padri,
con un buon numero di ansiosi come Giorgio. Lì ci avevano insegnato tecniche
pratiche e psicologiche per affrontare quella che veniva definita la più grande
rivoluzione che una persona possa vivere. Io me ne accorsi quando li
accompagnai in ospedale per il parto. Uscirono di casa in due, io ero al
volante, e tornarono con me a casa due giorni dopo. In tre. Quello strano
normale miracolo già stava aiutando il papà più di quanto lui immaginava. Il
primo grande inaudito passo l’aveva compiuto nonostante le sue paure. Quindi il
mondo poteva continuare a girare ancora.
E così era stato.
Scritto da Gianni il 29 Dicembre 2023
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