In lontananza il bosco
bruciava, il fumo visibile dalla torretta di casa. E l’odore acre impregnava i
polmoni.
Giulio aveva salito la scala a pioli che raggiungeva l’affaccio più alto dalla piccola torretta; per la sua costruzione si era battuto come un leone con Anna, la moglie, inizialmente contraria. Da lì si vedevano chiari i monti circostanti, le vette e la neve.
“La torretta è un simbolo, respira il cielo ma rimanda anche al medioevo” sosteneva lui.
“Ma non c’entra niente
con il resto della casa” ribatteva Anna.
“Allora costruiamo un
castello vero e proprio” disse una volta Giulio. Da allora Anna capì che il
marito, di solito condiscendente, non avrebbe fatto marcia indietro. Accettò la
costruzione e scoprì che la parte bizzarra del marito non le dispiaceva del
tutto.
Nel bosco si stava
consumando la peggior tragedia mai accaduta. Il fuoco continuava la sua opera
alimentandosi di alberi, arbusti e piante. I pochi animali scappavano senza una
direzione, alcuni senza saperlo consegnandosi al fuoco.
In un grande formicaio
qualche metro sotto terra, vanto delle formiche ingegnere, la numerosa
popolazione si era appena divisa: chi si sentiva più al sicuro rimanendo nella
città sotterranea, chi scappando lontano, così speravano, dal fuoco.
Quest’ultimi cominciarono a uscire a gruppi di cento, velocemente dovevano
scegliere una direzione e partire. Il fuoco era a poche decine di metri, l’aria
irrespirabile, la visibilità, a causa dei fumi, scarsissima.
“Di qua!”
“No, di là!”
“Di sopra!”
“No, di sotto!”
“Di sotto si torna a
casa!”
La confusione era
totale, nessuna formica aveva mai visto un incendio, nessuna conosceva il
fuoco. Solo le poche formiche riuscite a tornare dopo averlo incontrato ne
avevano parlato come di un mostro rosso arancio con tante lingue “ha un’arma
invincibile: il calore di tanti soli giganti che ti porta via la forza”, nel
mondo formichino forza e vita sono sinonimi. “Chi lo incontra da vicino diventa
tutto nero e non si muove più”. Detto da formiche tornate senza una zampa o
senza parte della testa o bruciate in più punti, il racconto rappresentava una
realtà divenuta improvvisamente drammatica.
“Ci mancava anche il
fuoco!” pensava Giulio intravvedendo il saettare delle lingue incandescenti avvicinarsi.
Gli elicotteri passavano bassi coi carichi di acqua che sganciavano intorno.
Sulla strada le autopompe facevano il possibile, i vigili avevano già chiesto
di andarsene a lui, Anna e altri abitanti locali.
“Chissà se…” Giulio
guardava al piccolo spazio cinque metri sotto. Era la rampa del garage. Fissava
quel punto con i suoi occhi, spenti da una settimana dove aveva perso parecchi
dei risparmi investiti e, come sembrava, anche l’abitazione. Si vedeva lì sotto,
rotto e storto dopo quel volo. Il fuoco avrebbe fatto il resto. Intanto i passi
di Anna sulla scala si facevano frettolosamente più vicini.
L’orso bianco non
aveva in simpatia le formiche da quella volta in cui si era strofinato sulla
corteccia di un abete riempiendosi la pelliccia di centinaia di loro. Molte
erano rimaste schiacciate dalla brutalità della grattata dell’orso. Le
superstiti, imbrigliate nel pelo folto, lo avevano riempito di pizzichi
dolorosi fino a quando tra capriole in terra e salti le aveva eliminate.
Niente al confronto
della guerra che aveva appena combattuta contro i rami infuocati che cadevano
dall’alto. Lui correva e questi lo circondavano, lo precedevano e lo colpivano
sulla schiena, sul muso, sul corpo. L’aria non era più, la luce notturna con
vampate rosse squarciavano la notte nera. Stremato, era inciampato fino a
rotolare a terra senza più forze per rialzarsi. Chiuse gli occhi come aveva
visto chiudere gli occhi per l’ultima volta ai suoi genitori anni prima. Ma là
non c’era fuoco. La testa a terra voltata da un lato, riaprì poco un occhio e
vide le formichine correre insieme. Si univano in gruppi a formare ponti di corpi
e zampe per superare ostacoli orizzontali o verticali, avanzavano sempre e
comunque. Era evidente che non avrebbero scampato il fuoco: correva più veloce
di loro. Tuttavia non si arrendevano e andavano avanti testardamente come se
non ci fosse un domani, appunto.
“Attaccati di qua,
dobbiamo superare quel ramo!” “Forza incliniamoci a 45 gradi” “Non disperdete
le forze!” “Svelti, svelti, passate sopra di noi e proseguite!” Era un
brulicare di ordini da eseguire, pur nella confusione e nella paura.
Il braccio di Anna era
sulla spalla di Giulio. “Devo dirti una cosa” gli disse “volevo parlarti in un
altro momento ma sento di doverlo fare ora.”
“Cos’altro?” pensava
Giulio guardandola interrogativo.
“E’ un periodo
difficile, abbiamo perso i nostri risparmi. E ora il fuoco. Ma…”
“Dimmi”
“Aspetto un bambino.
Diventerai padre.”
Giulio non seppe
trovare le parole, sgorgarono fuori sotto forma di lacrime innumerevoli.
Bagnarono e spensero il “suo” fuoco. La prese tra le braccia e la baciò mentre
scendevano le scale. Anna si sentì sollevare di peso, Giulio la portò fuori.
Presero la macchina e si allontanarono dal fronte del fuoco velocemente.
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