09/10/24

FUOCO NEL BOSCO

 

In lontananza il bosco bruciava, il fumo visibile dalla torretta di casa. E l’odore acre impregnava i polmoni.

Giulio aveva salito la scala a pioli che raggiungeva l’affaccio più alto dalla piccola torretta; per la sua costruzione si era battuto come un leone con Anna, la moglie, inizialmente contraria. Da lì si vedevano chiari i monti circostanti, le vette e la neve.

“La torretta è un simbolo, respira il cielo ma rimanda anche al medioevo” sosteneva lui.

“Ma non c’entra niente con il resto della casa” ribatteva Anna.

“Allora costruiamo un castello vero e proprio” disse una volta Giulio. Da allora Anna capì che il marito, di solito condiscendente, non avrebbe fatto marcia indietro. Accettò la costruzione e scoprì che la parte bizzarra del marito non le dispiaceva del tutto.

 

Nel bosco si stava consumando la peggior tragedia mai accaduta. Il fuoco continuava la sua opera alimentandosi di alberi, arbusti e piante. I pochi animali scappavano senza una direzione, alcuni senza saperlo consegnandosi al fuoco.

In un grande formicaio qualche metro sotto terra, vanto delle formiche ingegnere, la numerosa popolazione si era appena divisa: chi si sentiva più al sicuro rimanendo nella città sotterranea, chi scappando lontano, così speravano, dal fuoco. Quest’ultimi cominciarono a uscire a gruppi di cento, velocemente dovevano scegliere una direzione e partire. Il fuoco era a poche decine di metri, l’aria irrespirabile, la visibilità, a causa dei fumi, scarsissima.

“Di qua!”

“No, di là!”

“Di sopra!”

“No, di sotto!”

“Di sotto si torna a casa!”

La confusione era totale, nessuna formica aveva mai visto un incendio, nessuna conosceva il fuoco. Solo le poche formiche riuscite a tornare dopo averlo incontrato ne avevano parlato come di un mostro rosso arancio con tante lingue “ha un’arma invincibile: il calore di tanti soli giganti che ti porta via la forza”, nel mondo formichino forza e vita sono sinonimi. “Chi lo incontra da vicino diventa tutto nero e non si muove più”. Detto da formiche tornate senza una zampa o senza parte della testa o bruciate in più punti, il racconto rappresentava una realtà divenuta improvvisamente drammatica.

 

“Ci mancava anche il fuoco!” pensava Giulio intravvedendo il saettare delle lingue incandescenti avvicinarsi. Gli elicotteri passavano bassi coi carichi di acqua che sganciavano intorno. Sulla strada le autopompe facevano il possibile, i vigili avevano già chiesto di andarsene a lui, Anna e altri abitanti locali.

“Chissà se…” Giulio guardava al piccolo spazio cinque metri sotto. Era la rampa del garage. Fissava quel punto con i suoi occhi, spenti da una settimana dove aveva perso parecchi dei risparmi investiti e, come sembrava, anche l’abitazione. Si vedeva lì sotto, rotto e storto dopo quel volo. Il fuoco avrebbe fatto il resto. Intanto i passi di Anna sulla scala si facevano frettolosamente più vicini.

 

L’orso bianco non aveva in simpatia le formiche da quella volta in cui si era strofinato sulla corteccia di un abete riempiendosi la pelliccia di centinaia di loro. Molte erano rimaste schiacciate dalla brutalità della grattata dell’orso. Le superstiti, imbrigliate nel pelo folto, lo avevano riempito di pizzichi dolorosi fino a quando tra capriole in terra e salti le aveva eliminate.

Niente al confronto della guerra che aveva appena combattuta contro i rami infuocati che cadevano dall’alto. Lui correva e questi lo circondavano, lo precedevano e lo colpivano sulla schiena, sul muso, sul corpo. L’aria non era più, la luce notturna con vampate rosse squarciavano la notte nera. Stremato, era inciampato fino a rotolare a terra senza più forze per rialzarsi. Chiuse gli occhi come aveva visto chiudere gli occhi per l’ultima volta ai suoi genitori anni prima. Ma là non c’era fuoco. La testa a terra voltata da un lato, riaprì poco un occhio e vide le formichine correre insieme. Si univano in gruppi a formare ponti di corpi e zampe per superare ostacoli orizzontali o verticali, avanzavano sempre e comunque. Era evidente che non avrebbero scampato il fuoco: correva più veloce di loro. Tuttavia non si arrendevano e andavano avanti testardamente come se non ci fosse un domani, appunto.

“Attaccati di qua, dobbiamo superare quel ramo!” “Forza incliniamoci a 45 gradi” “Non disperdete le forze!” “Svelti, svelti, passate sopra di noi e proseguite!” Era un brulicare di ordini da eseguire, pur nella confusione e nella paura.

 

Il braccio di Anna era sulla spalla di Giulio. “Devo dirti una cosa” gli disse “volevo parlarti in un altro momento ma sento di doverlo fare ora.”

“Cos’altro?” pensava Giulio guardandola interrogativo.

“E’ un periodo difficile, abbiamo perso i nostri risparmi. E ora il fuoco. Ma…”

“Dimmi”

“Aspetto un bambino. Diventerai padre.”

Giulio non seppe trovare le parole, sgorgarono fuori sotto forma di lacrime innumerevoli. Bagnarono e spensero il “suo” fuoco. La prese tra le braccia e la baciò mentre scendevano le scale. Anna si sentì sollevare di peso, Giulio la portò fuori. Presero la macchina e si allontanarono dal fronte del fuoco velocemente.

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