“Ogni giorno la stessa
manfrina!” pensi rassegnato e infastidito “Vorrei avere di fronte chi li
consiglia, saprei io cosa sputargli addosso.”
Intanto i tuoi
genitori saltellano e urlettano agitando al vento un pupazzetto di plastica.
“Non solo, lo schiacciano per fargli fare quel suono irritante che, sembra, li
fa tanto ridere”, aggiungi.
“Ma quanto sei bravo” ti dicono in falsetto avvicinando il cucchiaino morbido in silicone pieno a
metà di polpa di mela. Aprono contemporaneamente le loro bocche.“E’ sicuro, ora lo
dicono di nuovo”, non fai a tempo a pensarlo.
“Aaaahhhhmmm” ti
dicono all’unisono. E ti chiedi ancora se è un mantra fintamente orientale o
una canzoncina per bimbi.
“Mi viene voglia di
non aprire mai più la bocca” e ne studi la fattibilità mentre lanci a terra il
bicchierino pieno d’acqua.
“Giovannino, non si fa
così!” ti dice la mamma.
“Gli fermo le mani?” le
chiede il papà.
“Scherzi? E’ una
violenza”, lo fulmina lei.
“Quindi che facciamo?”
le risponde il papà con la vena sulla fronte più gonfia.
“Il trenino, facciamo
il trenino, ieri ha funzionato.”
“Dunque vediamo”,
ragioni “mentre mi voltavo a guardare lui che fischiava come una locomotiva,
lei ha provato a infilarmi la pappetta in bocca centrandomi invece il naso.
Stavo soffocando, non potevo respirare. Come può dire che ha funzionato?”
I due genitori, l’uno
davanti all’altro, stanno per partire con la stessa gamba seguita dalle braccia
che si muovono avanti e indietro. Un teatrino che ritengono divertente.
“Si meritano un
regalo” sbuffi, e lanci loro le chiavi di plastica colorata che hai sul
tavolino del seggiolone. Ma non hai ancora la gittata sufficiente a
raggiungerli dove vorresti, sulla testa. Ti accontenti di avere, casualmente, centrato
il piatto. Riuscendo a fare schizzare il contenuto sulle pareti della cucina.
I due vagoni del
trenino si guardano, sembrano desistere. Il tuo viso si distende in un sorriso
e in una speranza “Forse smetteranno di trattarmi da lattante”.
La mamma è una tosta.
Comincia piano piano a percorrere la stanza accennando un debole ciuf ciuf
seguita dal marito, poco motivato.
“Come faccio a fargli
capire che voglio solo mangiare in santa pace.” La stessa domanda che ti poni
da una vita, seppur sia molto breve.
Ti accorgi che non hai
altre munizioni a disposizione, hai lanciato tutto ciò che avevi a portata di
mano. Aspetterai i prossimi improvvidi rifornimenti. Per ora devi per forza
passare alla contraerea.
Con astuzia li fai
avvicinare ridendo di gusto e muovendo la testa a destra e sinistra. Un amore
di bimbo. Ci cascano in pieno. Tuo papà si avvicina sorridente e ti dà un
boccone. Era ciò che volevi. Prendi tutto il fiato che puoi e soffi, forte,
ogni giorno di più.
“Accidenti. Non l’ho
preso in faccia.” Infatti è saltato indietro, non tanto però da salvare il
pantalone.
Festeggi con gorgheggi
da usignolo. Intorno a te le macerie: piattini di plastica rovesciati a terra,
macchie ovunque, il grembiule che ti hanno infilato ricoperto di vari cibi già
passati per la tua bocca. Un trionfo.
“Dai, continuiamo. Mi
sto divertendo!” urli qualcosa del genere, ma è per loro incomprensibile.
“Allora? Forza. Che
fate adesso? Manca ancora la canzone. Quella che detesto!”
Il tuo sguardo vola da
una parte all’altra. I tuoi genitori però sembrano stanchi. E’ stata una
giornata pesante per tutti e due.
“Ci riproviamo
domattina?” chiede lei.
“Sono d’accordo.” risponde
lui
Ti prendono in braccio
con tenerezza. “Io lo avrei preso a schiaffoni un bimbo come me…” ti sorprendi
a pensare.
“Gli do una pulita e
lo metto a dormire” dice il papà.
“Non vale. Così mi è
rimasta la fame. Però hanno ragione, forse dovrei essere più tranquillo. Adesso
li lascio dormire.” Sono le ventuno e trenta.
Hai chiuso gli occhi.
Ventuno e quarantadue.
Li hai riaperti. “Cos’è la fame tremenda che sento? Mi fa male la pancia. Dove
sono quei due?” il tuo pianto ricorda la sirena dell’allarme dei vicini.
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