08/03/24

GIOVANNINO E' BIRICHINO

“Ogni giorno la stessa manfrina!” pensi rassegnato e infastidito “Vorrei avere di fronte chi li consiglia, saprei io cosa sputargli addosso.”

Intanto i tuoi genitori saltellano e urlettano agitando al vento un pupazzetto di plastica. “Non solo, lo schiacciano per fargli fare quel suono irritante che, sembra, li fa tanto ridere”, aggiungi.

“Ma quanto sei bravo” ti dicono in falsetto avvicinando il cucchiaino morbido in silicone pieno a

metà di polpa di mela. Aprono contemporaneamente le loro bocche.

“E’ sicuro, ora lo dicono di nuovo”, non fai a tempo a pensarlo.

“Aaaahhhhmmm” ti dicono all’unisono. E ti chiedi ancora se è un mantra fintamente orientale o una canzoncina per bimbi.

“Mi viene voglia di non aprire mai più la bocca” e ne studi la fattibilità mentre lanci a terra il bicchierino pieno d’acqua.

“Giovannino, non si fa così!” ti dice la mamma.

“Gli fermo le mani?” le chiede il papà.

“Scherzi? E’ una violenza”, lo fulmina lei.

“Quindi che facciamo?” le risponde il papà con la vena sulla fronte più gonfia.

“Il trenino, facciamo il trenino, ieri ha funzionato.”

“Dunque vediamo”, ragioni “mentre mi voltavo a guardare lui che fischiava come una locomotiva, lei ha provato a infilarmi la pappetta in bocca centrandomi invece il naso. Stavo soffocando, non potevo respirare. Come può dire che ha funzionato?”

I due genitori, l’uno davanti all’altro, stanno per partire con la stessa gamba seguita dalle braccia che si muovono avanti e indietro. Un teatrino che ritengono divertente.

“Si meritano un regalo” sbuffi, e lanci loro le chiavi di plastica colorata che hai sul tavolino del seggiolone. Ma non hai ancora la gittata sufficiente a raggiungerli dove vorresti, sulla testa. Ti accontenti di avere, casualmente, centrato il piatto. Riuscendo a fare schizzare il contenuto sulle pareti della cucina.

I due vagoni del trenino si guardano, sembrano desistere. Il tuo viso si distende in un sorriso e in una speranza “Forse smetteranno di trattarmi da lattante”.

La mamma è una tosta. Comincia piano piano a percorrere la stanza accennando un debole ciuf ciuf seguita dal marito, poco motivato.

“Come faccio a fargli capire che voglio solo mangiare in santa pace.” La stessa domanda che ti poni da una vita, seppur sia molto breve.

Ti accorgi che non hai altre munizioni a disposizione, hai lanciato tutto ciò che avevi a portata di mano. Aspetterai i prossimi improvvidi rifornimenti. Per ora devi per forza passare alla contraerea.

Con astuzia li fai avvicinare ridendo di gusto e muovendo la testa a destra e sinistra. Un amore di bimbo. Ci cascano in pieno. Tuo papà si avvicina sorridente e ti dà un boccone. Era ciò che volevi. Prendi tutto il fiato che puoi e soffi, forte, ogni giorno di più.

“Accidenti. Non l’ho preso in faccia.” Infatti è saltato indietro, non tanto però da salvare il pantalone.

Festeggi con gorgheggi da usignolo. Intorno a te le macerie: piattini di plastica rovesciati a terra, macchie ovunque, il grembiule che ti hanno infilato ricoperto di vari cibi già passati per la tua bocca. Un trionfo.

“Dai, continuiamo. Mi sto divertendo!” urli qualcosa del genere, ma è per loro incomprensibile.

“Allora? Forza. Che fate adesso? Manca ancora la canzone. Quella che detesto!”

Il tuo sguardo vola da una parte all’altra. I tuoi genitori però sembrano stanchi. E’ stata una giornata pesante per tutti e due.

“Ci riproviamo domattina?” chiede lei.

“Sono d’accordo.” risponde lui

Ti prendono in braccio con tenerezza. “Io lo avrei preso a schiaffoni un bimbo come me…” ti sorprendi a pensare.

“Gli do una pulita e lo metto a dormire” dice il papà.

“Non vale. Così mi è rimasta la fame. Però hanno ragione, forse dovrei essere più tranquillo. Adesso li lascio dormire.” Sono le ventuno e trenta.

Hai chiuso gli occhi.

Ventuno e quarantadue. Li hai riaperti. “Cos’è la fame tremenda che sento? Mi fa male la pancia. Dove sono quei due?” il tuo pianto ricorda la sirena dell’allarme dei vicini.

 

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