“Una fiammata sta bruciando via la storia dell’uomo sulla terra”, diceva il Comandante dell’astronave guardando il fuoco che usciva dal motore di partenza. Un motore arcaico che serviva solo a uscire dall’atmosfera terrestre, dopo sarebbe intervenuto il motore pulsante, quello assemblato dai pochi tecnici senzienti, quelli a cui il senno era vaporizzato non del tutto.
“Appena usciremo dalla
nostra galassia potremo ampliare la tecnologia e utilizzare finalmente il
battito di tutti i cuori replicanti che abbiamo stivato,” diceva il Comandante
Primo Vero “così potremo arrivare a viaggiare nello spazio disallineato con il
tempo. Raggiungere le galassie a milioni di anni luce da noi in pochi anni
terrestri.” “Là”, assicurava “vivono mondi abitabili”.
Affermazione che era
diventata verità assoluta nel tempo. Non parlo del tempo cosmico, sempre
diverso, ma di quello terrestre sul quale erano sintonizzati tutti i contatori
temporali dell’astrocittà, vezzo per sentirsi ancora Umanità.
“Sono passati duecento
anni terrestri dal tragico giorno della partenza”, affermava Tim sorseggiando
acqua tiepida insieme a Ho, sua amica per scelta “e, come ripete il Comandante
Vero, stiamo raggiungendo la galassia del nuovo mondo.”
“La verità e bellezza
del pensiero del Comandante Vero sono inalterabili”, rispondeva Ho guardando
Tim di sottecchi “sono sicura che lui non sbaglia sul passato, sul presente e sul
futuro. Tuttavia…” Ho provava da qualche giorno a esprimere un suo pensiero.
“Non esiste il
tuttavia, il Comandante Vero è Verità”. A ogni pensiero o parola discordante,
una voce interiore interveniva ripetendo la Verità, facendola rimbalzare come
un’eco nel cervello a occupare tutti gli spazi di libertà.
Tim non aveva potuto
ascoltare la dissonanza: veniva cancellata ancora prima di arrivare alle
orecchie dell’astante, non gli era arrivato il “tuttavia”. Ma lo sguardo di Ho
lo aveva colpito, sinistro e interrogativo.
Ho aveva escogitato un
trucco per poter pensare liberamente: immaginava distese verdi come quelle
terrestri viste nei visori del passato. Le davano un senso inusuale di quiete,
ancora di più quelle che si affacciavano al mare, la grande distesa d’acqua di
colore azzurro. Immagini bizzarre, mai vissute. Il pensiero però era astrazione.
Forse in pochi possedevano quel dono, forse nessuno, lei sì.
Durante quei momenti,
immersa nella calma, riusciva a pensare. “Perché” si chiedeva, “i pochi anni di
viaggio sono diventati duecento? Perché non siamo ancora atterrati nel Nuovo Pianeta?
Perché provo emozioni se esse non esistono nella Verità?”
Coperti dalle immagini
bucoliche questi pensieri, sfuggiti al controllo della Verità, la inquietavano.
“Comandante Vero,
cinquemila persone si aspettano di scendere sul Nuovo Pianeta” diceva la
Rappresentante Popolare Esta Tè. “Sono vent’anni che scavalchiamo le linee
temporali e ogni volta crediamo sia l’ultima, lei ci dice che sarà l’ultima…”
lo fissava dritto negli occhiali scuri che lo accompagnavano in ogni
spostamento. “Sono vent’anni che l’auspicato Nuovo Pianeta si rivela essere
inospitale per la razza umana. La gente si sta stancando.”
“Lo so bene”, aveva
risposto Vero. “Grazie” concluse. Un pannello sotto di lui si mosse, la
poltrona sulla quale era seduto fu risucchiata nel pavimento, il pannello tornò
al suo posto. La rappresentante Tè si ritrovò come sempre sola nella Parasala
della Noia. Di nuovo stese una relazione
dettagliata per il Popolo con le risposte mai date dal Comandante alle sue
domande: tutte rassicuravano e promettevano. Il popolo credeva nel suo Comandante
e nella sua Rappresentante, le bugie mantenevano lo Status Quo e il suo lavoro.
Esta Tè piangeva spesso, sola, nella notte infinita del cosmo. Nemmeno lei
conosceva la verità.
Pochi mesi dopo la
partenza dalla Terra il Comandante aveva avuto il suo ultimo incontro con Astrò,
il cervello dell’astrocittà, il suo motore-pensiero, la tecnologia che la
alimentava e guidava, la Verità.
“Comandante Primo”,
cominciò Astrò saltando le usuali prassi di cortesia che si usavano sulla Terra
“siamo ormai lontani dalla sua Madre Terra. Ho cancellato tutte le rotte per un
possibile ritorno. Sarebbe un suicidio vista la condizione in cui voi umani
l‘avete ridotta.”
“Non è nostra
intenzione tornare sulla Terra. Stiamo viaggiando verso il Nuovo Pianeta”,
rispose Primo Vero “ma le decisione di cancellare le rotte o di cambiarle
spetta solo a me. Lo ricordi.”
“Tutto ciò è stato
vero fino a ieri, Comandante. Da oggi le decisioni le prendo io. Grazie per il
suo lavoro.”
“Che vuol dire?” urlò
Vero.
“Che non ho più
bisogno di lei”, replicò il motore-pensiero “e che ora il veleno Conservo che
ha inalato la sta uccidendo. Anzi, lei è già morto.” Il Comandante forse capì,
forse no. Seduto. Lo sguardo immoto verso il vuoto, il respiro fermo. Un
giocattolo senza batterie. Conservo lo
avrebbe mantenuto in carne e ossa qualche decina di anni, fino alla plausibile
morte naturale. Nel frattempo avrebbe detto tutto ciò che la Verità voleva.
Successivamente gli astrovideo avrebbero continuato a diffondere nei secoli i
discorsi della Verità con la voce e le fattezze del Comandante.
Erano passati
centottanta anni da quei fatti, l’acqua di Tim e Ho era nuovamente tiepida, la
Sala degli Scambi Felici era piena come sempre. I lavoratori dell’astrocittà si
ritrovavano lì dopo la giornata di lavoro: un’ora scarsa di applicazioni legate
agli interessi e capacità, il resto del tempo lo passavano sorseggiando acqua
tiepida. La loro pelle era liscia e bianca, il loro volere intiepidito
dall’acqua della Verità, studiata e applicata dal motore-pensiero.
Ho guardava il suo
amico Tim intensamente, come mai prima. Tim era turbato. Sapeva come tutti che
con la persona prescelta avrebbe passata la Settimana del Piacere, il periodo
in cui era dato concepire per procreare, ma non sapeva né quando né come ciò sarebbe
avvenuto. Era questo il tempo? Quegli
sguardi ne erano il preludio? Ho sapeva qualcosa che lui ignorava? Quanti dubbi
nella povera testa di Tim, per la prima volta non sentiva le risposte della
Verità in se: erano increspature nella Volontà Superiore, derivavano
direttamente dal pensiero liberato di Ho che non poteva ancora arrivare alla
mente di Tim. Solo lo sguardo di Ho parlava, ma in maniera muta.
“Ma certo!” un lampo
improvviso passò nella testa di Ho. Ricordava
un foglietto trovato come segnalibro in un vecchio libro scolastico terrestre.
Ne erano rimasti pochi in circolazione. Uno, di chissà quale antenato, lo aveva
lei. “L’alfabeto muto, quello che i bambini terrestri facevano tra loro in
classe per non farsi sentire dai maestri.”
Bisognava partire
dall’inizio. Insegnare a Tim l’alfabeto e poi a creare i pensieri specchio per
schermare quelli reali e, finalmente, cercare liberamente. Primo passo dare
nuove parole al posto di quelle abusate: la Verità aveva perso il suo
significato. Si prospettavano anni incerti. Il destino degli ultimi umani era
nelle sue mani.
Traccia:
Dopo la terza guerra
mondiale con milioni di persone morte, i superstiti diventano dei replicanti,
hanno perso il senno, l’identità umana. Vogliono creare una tecnologia per
andare nello spazio. Ci riescono. Che fanno?
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