Mentre mi toglievo il cappotto calpestai involontariamente un cartone di pizza che giaceva sul pavimento da chissà quanto tempo e mi sentii improvvisamente impalpabile, ero lì ma tutto poteva affondare in me e nulla ero in grado di trattenere. Improvvisamente bagnato mi ritrovai in breve tempo semplicemente umido, appiccicaticcio come in
temperature torride. Scombussolato, sentivo rimescolare le mie carte esistenziali con forza dolce e irresistibile. “Non ho più una forma riconoscibile, umana”, pensavo “Nonostante tutto, penso. Quindi sono.” I ricordi scolastici a volte aiutano, meno se ti senti centrifugato: “Cogito ergo ascisse e ordinate sum x, y” dicevo disordinatamente.Tornai velocemente
all’infantile sensazione di crescere, non solo in altezza. Molti anni prima mi
ero fermato all’iconico metro e ottantaquattro.
Sfinito, stressato,
frastornato e pieno di nuovi dubbi mi calmai, decisi (realmente io?) di
riposare. Un sudario mi avvolgeva, i miei occhi, persi lontani non mi
aiutavano. Dov’ero?
“La cosa che più mi
sorprende è l’assenza della paura, forse perché non mi proietto nel futuro”,
sostenevo “e resto nel qui e ora. Altrimenti dovrei credere che sia l’inizio
della fine o a una forte intossicazione alimentare”, pensavo pensando che non
avevo assunto alcool o sostanze psicotrope. Danzavo danzando, parlavo parlando,
suonano ridondanti, eppure in questo caso lievemente surreale, possibili.
“Dov’è il cielo? E la
terra?” nel mio sudario tutto era molle, non più impalpabile ma di scarsa
consistenza. E in espansione. “Sarà vero che l’universo corre oltre il finito
dell’infinito in tutte le direzioni?”
Mi sentii sollevare,
non d’animo, fisicamente. La gravità si fece pesante e mi appiattii. Su di me
caddero elementi piacevoli e odorosi, la temperatura si fece via via più calda
ma del tutto sopportabile. “Mi sento meglio, acquisto consistenza, sono più
robusto.”
Infine tornai alla
vita, era logica e comprensibile la mia nuova destinazione. Disegnata su misura
per me.
Impilato, mi sentii
trasportare fino alla fine. Uno scossone, come un terremoto o una brutta
notizia, terminò la corsa.
Posato il cappotto sul divano della casa al mare di Lavinia, nella penombra delle serrande ancora abbassate, avevo calpestato una scatola di pizza dimenticata lì dall’estate precedente. Dentro era rimasto ben poco, formiche e topi avevano gradito il regalo. Il giorno prima ero stato lasciato da Lavinia, abbandonato come la pizza sul pavimento della vita. Potevo capire la sofferenza dell'impasto, il sentirsi inutile, vita sprecata.
Potevo immaginare la sua storia e... mi sentii improvvisamente impalpabile, ero lì ma tutto poteva affondare in me e nulla ero in grado di trattenere. Improvvisamente bagnato mi ritrovai in breve tempo semplicemente umido, appiccicaticcio come in temperature torride. Scombussolato, sentivo rimescolare le mie carte esistenziali con forza dolce e irresistibile. “Non ho più una forma riconoscibile, umana”, pensavo “Nonostante tutto, penso. Quindi sono.” I ricordi scolastici a volte aiutano, meno se ti senti centrifugato: “Cogito ergo ascisse e ordinate sum x, y” dicevo disordinatamente.
Traccia:
“Mentre mi toglievo il cappotto calpestai involontariamente un cartone di pizza che giaceva sul pavimento da chissà quanto tempo”…
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