17/01/24

PAROLA DI VARGA

Alle tre e trenta di quel mercoledì notte Anna si affacciò sanguinante al pronto soccorso del Casilino, il quartiere romano in cui abitava.

Impiegata in circoscrizione, vita regolare, nubile. Per tutti una persona tranquilla con poche distrazioni, si poteva dire tutta casa e lavoro. Anni prima una storia con un uomo, ormai finita.

 

Alla stessa ora di due giorni dopo, Arnaldo, preoccupato e col sangue gelato ascoltava la sentenza dell’ispettore Varga.

“E’ lei l’assassino, la dichiaro in arresto.”

Era la prima volta che ascoltava una frase tale rivolta a lui. Letta, sentita al cinema sì, ma nella sua realtà mai. Un brav’uomo. Così si definiva.

Anna aveva il viso tumefatto, probabile frattura nasale. Lividi sulle braccia, pantaloni lacerati in più punti.

Alla triage passò davanti a parecchie persone, nessuna se ne lamentò nonostante tutti fossero lì per un motivo. A volte l’empatia emerge in situazioni difficili.

Arnaldo pensava velocemente a cosa rispondere all’ispettore, si sentiva affogare. Come poteva aver già capito tutto?

“Ispettore sono io che due giorni fa ho chiamato la polizia per denunciare la scomparsa di mia moglie! Come può accusarmi? Lancia accuse infamanti a casaccio senza lo straccio di una prova? E’ vergognoso.”   Si lamentava l’uomo.

Varga lo fissava impassibile, la trappola stava funzionando. L’assassino ebbe una illuminazione folle. Aveva messo sulla bilancia una incriminazione per omicidio e un’altra per percosse. E scelse la seconda.

Si accusò quindi delle violenze su Anna avvenute nella stessa notte della morte della moglie. E si aggrappò alla tesi secondo la quale se stava usando violenza ad una non avrebbe potuto uccidere l’altra.

Varga tuttavia era convinto che solo l’assassino poteva sapere dove si trovava il corpo della povera Signora Clelia. Il foglietto recapitato a Arnaldo infatti aveva l’indirizzo sbagliato, anche se di poco: il civico 6 era stato cambiato in 5. Non sarebbe potuto arrivare nel posto giusto se non ci fosse già stato prima.

L’ispettore Varga amava le penne a sfera, usava poco il pc per scrivere. Anche quel biglietto l’aveva scritto con la sua penna, quella con la quale faceva spesso giocare i suoi due bambini. La sera prima, giovedì, il più piccolo dei due vi aveva fatto un disegno per il papà, durante il quale la penna era caduta a terra di punta.

Arnaldo era persona nota nel quartiere, la storia era finita sui giornali. Uno di questi, con l’articolo in evidenza, era aperto sulla scrivania dell’avvocato Alfredo Persa. L’avvocato aveva notato nella foto dell’articolo che il biglietto dato allo Spontini presentava una caratteristica in ogni parola scritta, spesso su più lettere della stessa. Un difetto di scrittura. Il flusso di inchiostro si interrompeva per poi riprendere, rendendo alcune lettere solo intuibili più che leggibili. Si confrontò col suo collega ed amico di studi oltre che associato Gianni Causa. Decisero di difendere l’accusato.

E durante il processo fecero valere la loro tesi. Quel cinque scritto sul biglietto poteva essere interpretato come sei. La parte mancante della pancia del numero infatti poteva essere letta come assenza di inchiostro momentanea simile alle altre lettere spezzate. Ciò accade quando la sfera, bagnata costantemente dall’inchiostro, si blocca per un malfunzionamento dovuto a sporcizia o ad un colpo. La sfera riprende a scorrere subito dopo ma la traccia che lascia sul foglio è tratteggiata.

Arnaldo venne scagionato dall’accusa di omicidio della moglie perché decadeva la prova principale. 

L’ispettore non si arrese, doveva solo studiare meglio il caso, trovare altre evidenze. Quello era un assassino, un maledetto violento, un pericolo per ogni donna sulla sua strada. E Varga aveva il tempo dalla sua.

Arnaldo era finito in carcere per le violenze confessate su Anna. Prima della sua liberazione, l’ispettore avrebbe fatto riaprire il caso della Signore Clelia con nuove prove.

Parola di Varga.


Scritto da Gianni il 29 Novembre 2023

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