Alle tre e trenta di quel mercoledì notte Anna si affacciò sanguinante al pronto soccorso del Casilino, il quartiere romano in cui abitava.
Impiegata in
circoscrizione, vita regolare, nubile. Per tutti una persona tranquilla con
poche distrazioni, si poteva dire tutta casa e lavoro. Anni prima una storia
con un uomo, ormai finita.
Alla stessa ora di due
giorni dopo, Arnaldo, preoccupato e col sangue gelato ascoltava la sentenza
dell’ispettore Varga.
“E’ lei l’assassino, la dichiaro in arresto.”
Era la prima volta che
ascoltava una frase tale rivolta a lui. Letta, sentita al cinema sì, ma nella
sua realtà mai. Un brav’uomo. Così si definiva.
Anna aveva il viso
tumefatto, probabile frattura nasale. Lividi sulle braccia, pantaloni lacerati
in più punti.
Alla triage passò
davanti a parecchie persone, nessuna se ne lamentò nonostante tutti fossero lì
per un motivo. A volte l’empatia emerge in situazioni difficili.
Arnaldo pensava
velocemente a cosa rispondere all’ispettore, si sentiva affogare. Come poteva
aver già capito tutto?
“Ispettore sono io che
due giorni fa ho chiamato la polizia per denunciare la scomparsa di mia moglie!
Come può accusarmi? Lancia accuse infamanti a casaccio senza lo straccio di una
prova? E’ vergognoso.” Si lamentava
l’uomo.
Varga lo fissava
impassibile, la trappola stava funzionando. L’assassino ebbe una illuminazione
folle. Aveva messo sulla bilancia una incriminazione per omicidio e un’altra
per percosse. E scelse la seconda.
Si accusò quindi delle
violenze su Anna avvenute nella stessa notte della morte della moglie. E si
aggrappò alla tesi secondo la quale se stava usando violenza ad una non avrebbe
potuto uccidere l’altra.
Varga tuttavia era
convinto che solo l’assassino poteva sapere dove si trovava il corpo della
povera Signora Clelia. Il foglietto recapitato a Arnaldo infatti aveva
l’indirizzo sbagliato, anche se di poco: il civico 6 era stato cambiato in 5. Non
sarebbe potuto arrivare nel posto giusto se non ci fosse già stato prima.
L’ispettore Varga
amava le penne a sfera, usava poco il pc per scrivere. Anche quel biglietto l’aveva
scritto con la sua penna, quella con la quale faceva spesso giocare i suoi due
bambini. La sera prima, giovedì, il più piccolo dei due vi aveva fatto un
disegno per il papà, durante il quale la penna era caduta a terra di punta.
Arnaldo era persona
nota nel quartiere, la storia era finita sui giornali. Uno di questi, con
l’articolo in evidenza, era aperto sulla scrivania dell’avvocato Alfredo Persa.
L’avvocato aveva notato nella foto dell’articolo che il biglietto dato allo
Spontini presentava una caratteristica in ogni parola scritta, spesso su più
lettere della stessa. Un difetto di scrittura. Il flusso di inchiostro si
interrompeva per poi riprendere, rendendo alcune lettere solo intuibili più che
leggibili. Si confrontò col suo collega ed amico di studi oltre che associato
Gianni Causa. Decisero di difendere l’accusato.
E durante il processo
fecero valere la loro tesi. Quel cinque scritto sul biglietto poteva essere
interpretato come sei. La parte mancante della pancia del numero infatti poteva
essere letta come assenza di inchiostro momentanea simile alle altre lettere
spezzate. Ciò accade quando la sfera, bagnata costantemente dall’inchiostro, si
blocca per un malfunzionamento dovuto a sporcizia o ad un colpo. La sfera
riprende a scorrere subito dopo ma la traccia che lascia sul foglio è tratteggiata.
Arnaldo venne scagionato
dall’accusa di omicidio della moglie perché decadeva la prova principale.
L’ispettore non si
arrese, doveva solo studiare meglio il caso, trovare altre evidenze. Quello era
un assassino, un maledetto violento, un pericolo per ogni donna sulla sua
strada. E Varga aveva il tempo dalla sua.
Arnaldo era finito in
carcere per le violenze confessate su Anna. Prima della sua liberazione,
l’ispettore avrebbe fatto riaprire il caso della Signore Clelia con nuove
prove.
Parola di Varga.
Scritto da Gianni il 29 Novembre 2023
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