23/12/24

UNA CARTA DA GIOCO

Mi ricordo all’inizio, eravamo tutte e 52 di cartone bianco e lucido. Profumate carte da gioco. Ognuno nasce con un suo destino, ha una strada segnata. Noi siamo “da gioco”. Non scambiarci per trastulli di bambini. Noi siamo roba seria, adulta.

Mi avevano data una possibilità diversa alla nascita. “Puoi diventare, scegli tu, una carta da gioco o igienica. La prima è in cartoncino rigido, la seconda è molto più morbida”, mi dissero. E io scelsi seguendo il mio istinto, senza un perché. L’idea del gioco mi attirava. Chissà se ho fatta la scelta giusta. Chissà cosa sarei adesso se

avessi scelto la via “igienica.”

La prima volta che siamo uscite dalla nuova casa, una scatoletta rosso scuro, siamo cadute alla rinfusa su un tavolo verde. Prese e mischiate. Elettrizzante. Che abilità, le dita scorrevano veloci intorno a noi, sul tavolo, e noi in aria, girate, spezzate e rimescolate.  Fu una nascita al gioco divertente, i giocatori guardavano rapiti il mazziere. Mi stavo appassionando.

Cambiano le mani, soprattutto gli occhi, gli sguardi. Dicono che l’occhio è lo specchio dell’anima. Chi meglio di noi può confermare?

Come dici? “Bella la vita della carta da gioco?” Mah, può essere. Non per tutte però. Anche tra noi, uguali finché siamo insieme, ci sono distinzioni.

“Sei un due di picche!” sentii dire da una giocatrice una notte. Non parlava a me, anche se non sarebbe stata la prima volta, tanti i casi in cui gli improvvidi si affidano a noi prima di scartarci o tirarci sul tavolo. Come se noi potessimo pilotare la fortuna o potessimo giocare l’una contro l’altra. Noi siamo una famiglia e tra noi non ci sono invidie o differenze, anche se, lo dico sottovoce, mi sarebbe piaciuto nascere Regina o Re…

Ma torniamo alla signora dal viso pieno di rughe e i colori vivaci della pelle, delle palpebre e dei capelli. Quella frase l’aveva detta a un uomo, seduto di fronte, durante una partita a bridge. Poverino, gli vibrò il parrucchino per il nervoso. “Tu dici a me che valgo come il due di picche? E tu allora che ancora non hai mai imparato le regole base? Non hai memoria. Come si fa a vincere insieme a te, si può solo perdere!”

Quante coppie ho visto sfasciarsi su quei tavoli. Ma non era il gioco, no. Erano già svuotate, speravano che vincere un po’ di soldini le avrebbe aiutate. Illusione.

E’ arrivato il momento di presentarmi. Fieramente. Sono il due di picche. La carta che per delle stupide convenzioni vale meno di tutte le altre 51. Che poi dovrebbe esserci l’Uno dietro di me, invece no, lui vale più di tutti, addirittura più del Re e della Consorte. Inaudito. E poi, per dirla tutta. C’è un po’ di razzismo nella scala dei semi. Due rossi, Cuori e Quadri e due Neri. La gerarchia? Come Quando Fuori Piove: Cuori Quadri Fiori Picche. Capito? Prima i due rossi, poi i due neri. E tra i neri, Picche dopo i Fiori.

E come finisce? Mi prendete e aggrottate il viso, sbuffate, vi cade la testa di lato, in avanti, all’indietro. Una mortificazione.

Eppure ringrazio la cartiera di avermi stampato due di picche. Perché non mi sono montata la testa, conosco la sofferenza. Io sono una carta che non tradisce le aspettative e so leggere i cuori delle persone. Come? Dall’espressione, dalla tensione, dai movimenti involontari.

Ora che sto parlando con voi, ho di fronte un uomo. Non molto alto, la fronte e la nuca imperlate di sudore, le mani leggermente tremanti. Per lui non è un gioco. Lui vuole rivalsa. Vuole dimenticare le donne che lo hanno lasciato, i figli che non ha mai voluto, la vita che lo ha tradito.

Il girovita abbondante sostiene il braccio e la mano che ci tiene. Anche le mani sono umide. La postura sulla sedia urla stanchezza. Nonostante la stazza è un uomo che mi sembra svuotato. Leggo il suo passato (che le carte possano farlo?). Le donne della sua vita, poche, sono state spinte da lui, dalla sua sciatteria e insicurezza a lasciarlo. Lui per primo ha tradito la sua vita, se stesso. Non riesco a capire in così poco tempo se ne sia consapevole: io rimango in mano il tempo per essere scartata al prossimo giro. Nessuno ama i perdenti.

Forse mi ha dimenticata, sono ancora in mano. Mi guarda. Mi fissa. Nessuno si accorge, per un attimo il mio seme nero vira al rosso: anch’io posso emozionarmi, anche per i sentimenti altrui. Nel gioco siete più veri che nella realtà, dove fingete di essere altro da voi stessi. E in me, ultima tra le ultime, quest’uomo trova conforto. Un sottile filo di solidarietà ci lega. Il suo pensiero mi sfiora: “Che ci faccio qui? E’ Natale, dovrei essere con le persone della mia vita.”

So solo che ha poggiato le carte che aveva in mano, io tra queste, e se n’è andato.

Perché alla fine ogni carta ha la sua importanza, se ne manca una, qualunque sia, il gioco cambia per tutte le altre.


TRACCIA: "“Sei una carta da gioco e sei appena stata pescata (narratore in prima persona – che faccio? – chi mi pesca? – Oppure si può parlare dei giocatori)


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